Pronunciandosi su una vicenda che vedeva coinvolto un agente di polizia giudiziaria in servizio presso un Comando di polizia municipale che indebitamente utilizzava un «pass» per disabili rilasciato a persona deceduta, parcheggiando l’auto in aeroporto così commettendo truffa ai danni della società di gestione del parcheggio, la Cassazione ha accolto la tesi dell’imputato secondo cui tale condotta non determina un detrimento dell'integrità patrimoniale della P.A. ma ha solo rilievo disciplinare, non potendosi configurare nemmeno, nonostante l'indebito uso del bene, il reato di abuso di ufficio.
Prima di soffermarci sulla pronuncia resa dalla Suprema Corte, è opportuno ricordare che il peculato, nel diritto penale italiano, è il reato previsto dall'art. 314 del codice penale, in virtù del quale il pubblico ufficiale o l'incaricato di pubblico servizio, che, avendo per ragione del suo ufficio o servizio il possesso o comunque la disponibilità di denaro o di altra cosa mobile altrui, se ne appropria. Detto reato è punito con la reclusione da quattro a dieci anni. Il delitto di peculato si configura con l'indebita appropriazione di denaro o altra cosa mobile che si trova, al momento della consumazione del reato (ovvero al momento del tentativo di consumazione), nel possesso o comunque nella disponibilità del soggetto attivo, in ragione del suo ufficio o del suo servizio.
Anche l'indebita alienazione, distruzione, semplice detenzione, utilizzo di denaro o di altra cosa mobile integra questa fattispecie delittuosa. Trattandosi di un reato proprio, soggetto attivo del delitto di peculato può essere solo un pubblico ufficiale oppure un incaricato di pubblico servizio. Sono escluse, pertanto, forme di responsabilità per quanti esercitino un servizio di pubblica necessità. Tanto premesso, nella pronuncia in esame il giudice di legittimità si occupa di un caso che vedeva imputato del delitto di cui agli artt. 61 n. 2 e 314 c.p. un agente di polizia giudiziaria in servizio presso il Corpo di Polizia Locale di C. che, avendo per ragioni del suo ufficio o servizio il possesso o comunque la disponibilità di un «pass» per disabili rilasciato a persona poi deceduta, se ne era appropriato al fine di commettere il delitto di truffa ai danni della società esercizio aeroportuali di Milano-Linate. Contro la sentenza di condanna proponeva ricorso per cassazione l’imputato, censurandola per violazione dell'art. 314 c.p., in particolare sostenendo che, essendosi egli impossessato del « pass per disabili», non aveva determinato un detrimento dell'integrità patrimoniale della P.A., ponendo in essere, per l'indebito uso del bene, al più, una condotta di abuso di ufficio.
La Cassazione ha accolto la tesi difensiva, in particolare valorizzando l’orientamento, saldamente fondato sul principio di offensività, espresso dalle Sezioni Unite in tema di indebito utilizzo del telefono di ufficio che ha ritenuto configurabile il reato di peculato d'uso solo se tale indebito utilizzo produce un danno apprezzabile al patrimonio della P.A. o di terzi, ovvero una lesione concreta alla funzionalità dell'ufficio, mentre deve ritenersi penalmente irrilevante se non presenta conseguenze economicamente e funzionalmente significative (Cass. pen., Sez. U, n. 19054 del 20/12/2012 - dep. 02/05/2013, Vattani e altro, in CED Cass., n. 255296). Nella specie, evidenzia la Corte, i giudici di merito avevano affermato la diversa lesione del principio di buon andamento della pubblica amministrazione, in assenza di qualsiasi concreta incidenza sulla relativa funzionalità, posto che il «pass» oggetto di appropriazione risultava restituito all'ente dopo la morte del legittimo titolare. Viene, dunque, ribadito il principio di diritto secondo il quale non sussiste il delitto di peculato in assenza di intrinseco rilievo economico dell'oggetto dell'appropriazione e di concreta incidenza di quest'ultima sulla funzionalità dell'ufficio o del servizio (Cass. pen., Sez. 6, n. 10543 del 07/06/2000 - dep. 10/10/2000, B. e altro, in CED Cass., n. 218338; Id., Sez. 6, n. 21867 del 22/03/2001 - dep. 30/05/2001, I., in CED Cass., n. 219021).
La Corte, poi, parimenti esclude la configurabilità del reato di abuso d’ufficio, pure ipotizzato in chiave difensiva. La condotta appropriativa, infatti, non si era realizzata nell'ambito dello svolgimento delle funzioni o del servizio, ma era stata soltanto occasionata da esse (v. Cass. pen.,
Sez. 6, n. 38762 del 08/03/2012 - dep. 04/10/2012, P.M. in proc. D'A., in CED Cass., n. 253371), rimanendo dunque nell'ambito del mero rilievo disciplinare.
Esito del ricorso:Annulla senza rinvio, Corte di Appello di Brescia, sentenza 24 novembre 2011
Precedenti giurisprudenziali
Cassazione penale, Sezioni Unite, 2 maggio 2013, n. 19054
Cassazione penale, Sezione VI, 10 ottobre 2000, n. 10543
Cassazione penale, Sezione VI, 30 maggio 2001, n. 21867
Cassazione penale, Sezione VI, 4 ottobre 2012, n. 38762
Riferimenti normativi : art. 314 del Codice penale